LAVORO, CULTURA, UOMO E ARTE
NELLA SOCIETÀ OPERAIA DI MISTRETTA

Presentazione del film
Noè Marullo scultore cento anni dopo

di Sebastiano Lo Iacono

Mistretta, Società Operaia, Lunedì, 5 maggio 2025
Marullo in bronzo

Noè Marullo, scultura in bronzo di Mario Biffarella
Villa Garibaldi, 2000

La “Società Operaia” è quasi casa mia. Mi ci sento a casa. L’ho detto e scritto in occasione di due libri del sottoscritto: quello del 2000 (137 anni dopo la fondazione del sodalizio) e quello del 2013, per i 150 anni della Società. Il 5 maggio 2025 ricorre un altro centenario: quello dello scultore Noè Marullo. In questo sodalizio -dicevo- mi sento di casa. Mi sento nella mia patria in una bottega di falegname, dove c’è odore di legno; e in una di fabbro o di fornaio, deve ci sono odore di forgia e profumo di pane. L’odore di vernice di una bottega di imbianchino o quello di brillantina in una sala da barba e di parrucchiere mi fanno sentire a casa. In una bottega di calzolaio (ora non ce ne sono più), mi sentivo di casa perché mi era familiare l’odore famigliare del cuoio. Mio padre falegname sarebbe divenuto commerciante di cuoiami e pellami. Questo docu-film è un omaggio a Noè Marullo e ai mastri artigiani della “Società Operaia” di Mistretta di ieri, di oggi e di sempre per capire questo sentirsi a casa, questo essere a Itaca delle radici, al centro del mondo. Con Marullo credo di sentirmi in una specie di sintonia, a dir così, artistica e spirituale. Nella “Società Operaia”, ogni domenica, c’era un appuntamento rituale con gli amici perduti di giovinezza perduta: 10 lire di calia a ddu bbotti dello Zu Mariano Fiore, 5 di noccioline americane e 5 di simenza, i cartoni animati di “Braccobaldo Show”, con l’orso Yoghi e Bubù, i telefilm di Zorro, il sergente Garçia, “Settevoci” con Pippo Baudo e la partita di calcio di Serie B. Ero a casa e sono a casa. Anche perché tanti mi dicono ancora cavaliere, che non sono, perché figlio di un padre che lo fu. Che giocava a 500 e a tressette con il morto con Ciano Surgiddu, lo scarparo Castelluccio, il cugino Vincenzo Lo Presti. Dove c’era Pippo Consolato che mi diceva Pilu Russu e mi arrabbiavo. Mi voleva bene. In quelle partite a carte, in palio c’era una barretta di cioccolato Carro armato Perugina. Non di più. Il mondo degli artigiani è casa mia. L’artigianato che diventa arte è stata l’avventura di Marullo artigiano artista. Credo che di questa casa ne abbia respirato sempre l’ossigeno. Mio nonno era calzolaio, mio padre falegname, mio zio sacerdote e mio suocero erano sarti. Per gli artigiani di un tempo, prima della rivoluzione antropologica avvenuta con l’era industriale del secondo dopoguerra, i diplomi della “Scuola di Disegno” della Società operaia erano lauree, allori, onore e vanto, non semplici attestati di merito o di mestieri manuali. Mio padre li conservò come cose d’oro, e poi li smarrì. Li ho cercati nelle case materne e paterne senza successo. E mi dispiace. Marullo fu uno di questi artigiani laureati, poi sarebbe divenuto socio onorario e, post mortem, la cosa inorgogliva i suoi pronipoti, quelli che vivono in Continente e che vennero per l’inaugurazione del busto in bronzo dello scultore nella villa “Garibaldi”, e quelli che ci sono a Mistretta. I Greci antichi, da cui abbiamo preso tutto, compresa la loro e la nostra democrazia imperfetta (meglio questa che altro); i Greci -dicevo- per merito dei quali, senza Pitagora, Platone e Aristotele, non avremmo i computer e la tecnologia, avevano una specie di pregiudizio e di disprezzo nei confronti del lavoro manuale: quello che fa sporcare le mani. Senza i Greci, l’incipit del Vangelo di Giovanni “In principio era il Verbo, … il logos” sarebbe stato differente. Il senso intrinseco del fatto che Gesù è il Verbo fattosi carne sarebbe stato lo stesso, ma, senza i Greci -ripeto- la forma linguistica sarebbe stata sicuramente diversa. Per loro, comunque, la cultura del fare era di ordine inferiore rispetto alla contemplazione del bello. Fare il bello, come cercò di fare Marullo, era un’attività estranea alla fatica e al fare con le mani. Ci avete fatto caso? La parola lavoro è parente di travaglio, e travaglio è l’atto del partorire: quindi, il lavoro (u travagghju, in siciliano) è sofferenza. In spagnolo, si dice trabajo, in napoletano faticà: a Napoli si dice “Jamm’â faticà” per dire “Andiamo al lavoro”; il lavoro, dunque, come fatica, pena e condanna; sarebbe venuto san Benedetto e avrebbe detto “ora et labora”, cioè “prega e fai fatica” per sopravvivere. Non vi farò la storia del concetto di lavoro (n-vi scantati!). Marullo faticò e soffrì, come artigiano e artista. E non risulta che fosse di una classe sociale benestante.
Filippo Giordano ha verificato che il cognome Marullo viene da un ceppo familiare di San Fratello ed è attestato a Mistretta dal 1820. Il nonno era falegname. Il padre di Noè, Saverio, anch’egli falegname, non credo che ebbe tante risorse economiche. Il Municipio, infatti, pagò gli studi di Noè a Palermo e a Roma. E anch’egli non suppongo sia vissuto nello stesso lusso della nobiltà del suo tempo, dopo avere fatto ritorno a Mistretta. Se il lavoro era fatica e strazio, nel sodalizio della “Società Operaia”, invece, il lavoro era, fu ed è ancora dignità per la dignità dell’uomo. Un grande salto ci sarebbe stato, rispetto ai Greci, che pensavano che il lavoro manuale fosse infima attività delle classi inferiori, donne comprese: e quindi indegna attività schiavile, cioè da schiavi. Il giudizio negativo sul lavoro indicava un legame forte tra lavoro e condizione servile. Aristotele, addirittura, disprezzava il lavoro retribuito e la retribuzione come tale, perché mescolarsi con la materia, il legno, il ferro, la malta, la pietra, ecc. era un ostacolo alla contemplazione teoretica filosofica. Liberarsi dalla fatica era la stessa cosa che oggi si dice circa l’uso delle macchine e della tecnologia, che ci libereranno dal lavoro subordinato e dallo stesso lavoro fisico fatto per bisogno di sopravvivenza e necessità. È già così da più di un secolo. Questa è sociologia ed è un altro discorso.
Si dice che “il lavoro nobilita l’uomo”. Nella nostra società chi non fa nulla e vive alle spalle degli altri è giudicato in modo negativo e per noi il lavoro è così importante che il primo articolo della nostra Costituzione afferma che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. La cultura del lavoro fu quella di Marullo e dei soci che lo ricordano cento anni dopo la morte. I Greci avevano un’idea esattamente contraria: lavorare e soprattutto dover svolgere un’attività faticosa era considerato disonorevole per un uomo libero, mentre le occupazioni ritenute onorevoli erano la guerra, la politica, l’amministrazione dello Stato e le attività intellettuali e artistiche superiori. Il diffuso disprezzo per le attività manuali derivava dal fatto che queste erano svolte da persone giudicate inferiori, come le donne (per le attività domestiche), e dagli schiavi (se uno poteva permetterseli. Le cose non stanno più così. Sono cambiate. Per fortuna! I Greci, che hanno inventato la logica, la geometria, la filosofia ed erano maestri del
logos, del discorso, del ragionamento, della ragione ecc. erano un po’ contradittori: Archimede inventava macchinari complicati sporcandosi le mani; gli scultori del IV secolo avanti Cristo, Prassitele, Lisippo, Fidia ecc., si sporcavano le mani. Ve l’immaginate Michelangelo col vestito buono della domenica che dipinge la Cappella Sistina? Platone, che scrisse 36 opere, detestava la scrittura, ma questo è un altro discorso ancora. Per Platone la scrittura avrebbe provocato la dimenticanza della sapienza, mentre la scultura era una produzione della copia di una copia, e quindi il falso. Marullo si sporcò le mani per fare l’artista e per rappresentare la verità della sua fede e la verità dell’essere vero. Anche scrivere è arte e artigianato. Si sa che artigianalità e artisticità sono un fare cose diverse, ma un artista è sempre artigiano, mentre un artigiano può non essere artista. Anche la tecnica e l’arte sono cose diverse. “Téchne” in Grecia, “ars” a Roma e nel Medioevo, e persino agli inizi dell'età moderna, durante il Rinascimento, stavano a significare la capacità di fare un qualche oggetto, un edificio, una statua, un letto, un vaso, un vestito, come pure la capacità di guidare un esercito, di misurare un campo, di persuadere gli ascoltatori. Tutte queste capacità erano dette arti: l'arte dell'architetto, dello scultore, del ceramista, del sarto, dello stratega, del geometra, del retore, del parlare e recitare, dello scrivere. La capacità consiste nella conoscenza delle regole; non vi era quindi arte senza regole, senza norme: l'arte dell'architetto ha regole proprie, differenti da quelle dell'arte dello scultore, del ceramista, del geometra, del generale. Per questo il concetto di regola rientrava in quello di arte nella sua definizione; il fare una cosa senza regole, soltanto grazie all'ispirazione o alla fantasia non era per gli antichi o per gli Scolastici del Medioevo un'arte: era il suo contrario. Nei primi secoli, i Greci ritenevano che la poesia fosse ispirata dalle Muse e per questo non la consideravano un'arte. Conformemente all'opinione comune dei Greci, Platone scrisse: «Non chiamo arte un'attività irrazionale» (Platone, Gorgia, 465a), come la poesia ispirata. Galeno definì l'arte un insieme di norme universali, adeguate e utili poste al servizio di un bene definito. In questo quadro, il fare bene coincideva con il fare il bello. Marullo fece bene il bello e fece bello il bene. L'arte così com'era intesa nell'Antichità e nel Medioevo aveva un ambito più ampio dell'attuale: comprendeva non soltanto le Belle Arti e l'artigianato, i mestieri e il commercio; la pittura era un'arte di pari grado alla sartoria. Si definiva arte non soltanto la produzione eseguita con maestria, ma in primo luogo la capacità stessa di produrre, la conoscenza delle regole, il sapere specialistico. Per questo era possibile intendere con arte non soltanto la pittura o la sartoria, ma anche la grammatica o la logica, in quanto insieme di regole e conoscenze specifiche. L'arte aveva un tempo un'estensione maggiore: includeva l'artigianato e per lo meno una parte delle scienze, tra cui l’arte della medicina. Marullo fu artista anche in questo senso, non solo come scultore e in quanto maestro di regole. Ma oggi non diremmo mai che un medico è un artista in quel senso. Nel Medioevo le discipline del Trivio e Quadrivio, appunto, erano Arti. Il Trivio comprendeva la grammatica, la dialettica (logica) e la retorica. Il Quadrivio includeva l'aritmetica, la geometria, la musica e l'astronomia. La Facoltà delle Arti era quella di filosofia. Il magister artium, maestro delle arti, era il baccelliere laureato in filosofia e teologia, lettura e commento delle Sacre Scritture: sicché già in quel periodo la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale era superata. Pensare che la filosofia sia un’arte concreta, come le arti materiali e manuali, mi fa piacere. Mi dà sollievo. Così non c’è più nessuno che possa dire “Sta faciènnu filosofia”, cioè stai ricamando aria e pestando l’acqua nel mortaio. I cretini la sanno lunga in questo senso. A me pare, che Marullo sia stato un esemplare maestro delle arti. Che conosceva la geometria e il disegno, la prospettiva e l’anatomia del corpo umano. Non sono un esperto di Marullo. Il mio maestro e mastro, nel senso alto della parola, è Francesco Cuva, i cui due libri su mastro Noè sono le uniche fonti imprescindibili. Cuva è la fonte su mastro Noè. Le sue ricerche storiche confermano uno stile e il rispetto delle regole del fare storia scritta, visto che lo scrivere è anch’esso un fare bene. Non a caso Cuva è figlio di un mastro falegname. Non saprei dire nulla di più meglio di lui. Ci avete ancora fatto caso? Nel canto del Venerdì Santo, detto O Santa Cruci, perché così comincia il primo verso, la Madonna dialoga prima con un mastro falegname (n-fallignami) e poi con un fabbro (n-furgiàru). Il legno e il ferro sono stati elementi principali della nostra civiltà e coloro che li usavano erano maestri di un saper fare mitico, arcano, religioso. Assieme al legno e al ferro, c’è la pietra: e qui il discorso ci porterebbe lontanissimo. Per gli ebrei il ferro era maledetto: lo si forgiava per fare armi; il legno era mite e docile. Il legno fu la materia di san Giuseppe, il padre patriarca di questo sodalizio. Il ferro è legato al mito di Efesto, dio del fuoco, della scultura e della metallurgia. Senza legno e pietra non ci sarebbe stata nel Medioevo la stagione delle grandi cattedrali e la costruzione delle meravigliose abazie e conventi. Il legno viene dalla terra, come il grano; il ferro viene da sottoterra e dal fuoco. Marullo pare abbia lavorato anche il ferro. Certo è che in Marullo arte e artigianato, lavoro manuale e intellettuale si fusero e confusero. Non c’è arte senza pensiero e non c’è pensiero senza un fare concreto che dal pensiero deriva. Conosco mastri edili, falegnami e fabbri che utilizzano un linguaggio scientifico-empirico raffinato che è frutto di pensiero applicato alla materia, allorché dicono lapazza, cciappa, ecc. Per me, una pietra è una pietra. Il mio vocabolario, in questo campo, ha un solo termine. Un artigiano, invece, ha un linguaggio specialistico che fa differenza e conosce la diversità tra cciàppa, cuticchja, cuticchjuni, cùgnu, balàta, scartina, vàusu, ncàgghja, còzza, rasòtta, mazzacani (pietrone grosso, in grado di schiacciare un cane e ucciderlo, come dice la stessa parola), pietrisco (ciotoli), pitrella, cantunèra longa (a due facce), cantunàli (a forma di angolo retto, ovvero pietra angolare) ecc. Queste ultime due sono lavorate dallo scalpellino o possono essere di forma naturale e trovarsi per caso scavando il terreno o un pozzo. Ci sono poi le “bolognine”, lavorate ad arte, che fanno da linea guida di marciapiedi e acciottolati, e le “piastrelle” per la decorazione di pareti esterne, come quelle tipiche della pietra cosiddetta dorata di Mistretta. Non sono un esperto di Storia dell’Arte, come Cuva, Nuccio Lo Castro e Giovanni Travagliato, e quindi, laddove in questo film cito l’Addolorata della chiesa del “Rosario” di Mistretta o altre presunte opere di Marullo, sulla cui attribuzione ci sono dubbi, lo faccio per quanto la Madonna Addolorata significa per noi e per quanto rappresentò nella vita di Marullo, che soffrì la perdita atroce di una figlia di 14 anni. Il legno può rappresentare il dolore e anche il martirio, come nel caso della statua del San Sebastiano. Un capolavoro unico. Una meraviglia da guardare. In Sicilia, l’iconografia su san Sebastiano è variegata e non mi astengo dal dire che ne ho visti di bruttini e bruttissimi. Il nostro Sebastiano è di una bellezza sublime. Il video non è un documentario biografico, anche se non è senza qualche dettaglio storico: è una ricostruzione in chiave poetica di un artista. Non è una biografia di fatti. È una biografia intellettuale. Dura 20 minuti. Mi sono attenuto al suggerimento del signor sindaco Sebastiano Sanzarello e alle regole del montaggio televisivo che impongono un ritmo rapido, a dir così, hollywoodiano. Devo dare un bravo da 10 e lode a Domenico Dolce che ha predisposto con cura, fatica, lavoro e impegno la mostra sulle opere di Marullo in maniera eccellente. Domenico è uno: magari, a Mistretta, ce ne fossero altri dieci! … Concludo con un avvertimento, tramite le parole che, parecchi anni fa, padre Achille Passalacqua, che mi era amico, rivolse ai presenti, durante un concerto del coro “Monteverdi” nella sua parrocchia di Rocca di Caprileone: «…e ora, non vi distraete, niente colpi di tosse, come non si fa nei teatri lirici o nei concerti; niente scrùsci di sedie, come è malcostume anche durante la consacrazione eucaristica; leggetevi altresì i titoli, e, per favore, stutati ‘sti benedetti telefonini ...».

3/5 Maggio 2025

REPORTAGE DELLE MANIFESTAZIONI
DI DOMENICA 4 MAGGIO 2025

Celebrazione eucaristica nella cappella cimiteriale della Società Operaia
e Deposizione di una corona di alloro nel monumento in bronzo di Marullo,
nella villa comunale "G. Garibladi"